La necropoli occidentale di Montagna dei Cavalli, nonostante non vi siano stati mai realizzati interventi sistematici di scavo, è tristemente nota da almeno un secolo per i ripetuti e devastanti saccheggi da parte di clandestini, che hanno sistematicamente distrutto migliaia di sepolture, disperdendo un patrimonio archeologico che dalle notizie indirette dei rinvenimenti occasionali e dai resti delle sepolture saccheggiate doveva essere di grandissimo interesse tanto per le tipologie funerarie, quanto per il complesso dei reperti.
L’area cimiteriale si estende per una cinquantina di ettari su tutto il versante centrale e occidentale della Montagna dei Cavalli, a partire dalla fascia immediatamente esterna alla cinta di fortificazione inferiore, lungo i terrazzi che vanno via via degradando, fino al fondovalle, in prossimità del corso del fiume Sosio.
Le tombe più diffuse dovevano essere quelle a fossa, con pareti scavate nel terreno, foderate con lastre di pietra disposte per taglio o con muretti di blocchetti calcarei, in alcuni casi costruiti con cura e di dimensioni anche eccezionali. La copertura era a semplice lastra di pietra, oppure a tegoli piani disposti a spioventi (collegati da kalipteres o da argilla) che poggiavano sulle pareti, talvolta con sagomature per l’incasso dei tegoli. In diverse tombe le pareti erano rivestite con intonaco bianco. In alcuni casi, la presenza intorno allo scheletro di chiodi attesta l’uso di deporre il cadavere anche entro casse lignee. In qualche caso sulle pareti erano presenti delle nicchie ricavate nella fodera di muratura, sui lati lunghi. Queste nicchie, dalla descrizione del Valenti, che negli anni cinquanta scavò numerose tombe, erano profonde in media 25 cm, e all’interno era collocata parte del corredo.
Il rinvenimento di elementi architettonici di pietra calcarea o arenaria, tra la terra di risulta degli scavi clandestini, attesta probabilmente anche la presenza di monumenti funerari. La presenza di oggetti di particolare pregio, come i diademi dorati decorati a sbalzo oggi al Museo di Palermo, sono inoltre indizio indiretto di una discreta agiatezza degli abitanti della città intorno alla fine del IV sec. a.C.